La cascina di Gorsexio è un luogo del cuore della nostra famiglia giunto ormai alla quinta generazione. Quando era ancora in funzione come mulino, nostro bisnonno Angelo Servetto ne ereditò una parte da un suo fratello, alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Altri tempi ed altre persone. Mio bisnonno era del 1892, era il sesto di sette fratelli in una famiglia contadina radicata da decenni in Costa d'Erca, all'inizio della Val Cerusa. Reduce della prima guerra mondiale, era rimasto vedovo in giovane età con due bimbi. Anziché risposarsi, decise di stabilirsi in questa pendice di Appennino da dove si intravede uno spicchio di mare, dove le pendenze sono andine e dove è perenne la lotta fra selva, fasce coltivate, bestie più o meno domestiche.
Angelo con la sua "cuffa" sempre su una spalla, la testa e la spalla riparate da un sacco ripiegato angolo nell'angolo. Sempre piena di qualcosa, qualcosa quasi sempre pesante e sporco. Terra, pietre, letame, foglie, legna. Alle prese con una terra da domare con lavoro duro e bestemmie che volavano come punti esclamativi.
Nostro bisnonno Angelo Servetto, classe 1892 (foto personale) |
Da Baciccia a Giacomo e Marianna
Dopo Angelo è stato il turno di suo figlio, il mitico nonno Baciccia. Leva 1921, è stato uno dei tanti ragazzi italiani la cui gioventù è stata attraversata dalla furia della seconda guerra mondiale. L'8 settembre 1943 era a Pola, in Istria, dove frequentava l'accademia navale. Raccontava sempre divertito che, quando dopo l'8 settembre suo papà l'ha visto arrivare dopo mesi che non aveva sue notizie, gli ha detto "Òu! " e ha continuato a zappare nell'orto. Una sillaba, rimasta in famiglia, che copriva la grande emozione con la necessità prima di tutto di unire il pranzo con la cena.
Nonno Giò Batta, per tutti Baciccia, che sorride sul sentiero di casa (foto personale) |
Con Baciccia il mulino è diventato la sua officina, la cantina dove torchiava l'uva acquistata in Piemonte per la sua (grande) riserva personale, il magazzino dove stipava ogni genere di cianfrusaglie per via di tre regole auree:
1) nu se caccia via ninte: non si butta via niente;
2) nu se sa mai: non si sa mai, può sempre venir bene;
3) u l'é ancun bun: è ancora in buono stato... anche per oggetti in avanzato stato di degrado.
Io e mio fratello, con lui, abbiamo iniziato a dare le prime cazzuolate di cemento, tagliare erba, dare martellate ed in genere a svolgere ogni lavoro tendenzialmente interdetto dai genitori più per la sporcizia generata che per il pericolo in sé.
Fabio 1992 Marco... le prime cazzuolate (foto personale) |
Fra il 1992 ed il 1993 abbiamo abitato qui stabilmente per diversi mesi. È un ricordo bellissimo, fatto di intere giornate all'aria aperta a giocare nel torrente, a ripulire le fasce e a raccogliere legnetti per la stufa, unica fonte di calore, inverno incluso.
Da quel periodo papà Giacomo e mamma Santina hanno cominciato a risistemarla. Per me e mio fratello ha iniziato ad essere un punto di riferimento... fino ad oggi, in cui ci sono gnometti che puliscono fischiettando Whisky il ragnetto e serpi in gonnella che reclamano regolare stipendio per le mansioni svolte.
Gnometto lavoratore (video personale)
Mele non da mele, ma da Melle cioè miele
Oltre alla sistemazione della casa, la vera sfida è tenere testa all'inesorabile avanzata del bosco. Con mio fratello ci siamo posti il problema, pensando a come impegnare quel lembo di terra scoscesa non avendo la possibilità di tenerci bestie né coltivare le fasce con costanza.
La soluzione di quel gondone di Marco è stata tanto semplice quanto geniale: basta guardare lo stemma del paese.
Il nome di Mele infatti non ha niente a che vedere con il frutto di Adamo ed Eva, bensì con melle, ablativo del latino mel, melis, che significa appunto miele. Il tutto campeggia nello stemma del Comune: un'arnia accostata da sette api e la scritta EX MELLE MIHI NOMEN nella lista d'argento. La traduzione è dal miele il mio nome. Non a caso!
Lo stemma del comune di Mele (da wikipedia.org/Mele) |
Dove nasce questa predisposizione già nota in tempi antichi? Probabilmente è dovuto alla particolare conformazione del territorio, uno dei punti in Italia dove lo spartiacque è più vicino al mare. In pochi chilometri si va dagli 0m sul livello del mare agli oltre 1000m dell'Appennino, ricchi di boschi e macchiati da un buon numero di fioriture consistenti.
L'apis mellifera ha un raggio di azione medio di 3km, ma può arrivare anche a 10. Per cui il notevole dislivello fa sì che la stessa fioritura si possa trovare anche in momenti diversi in base all'altitudine e le api hanno più tempo per fare scorta. Aiuta anche la notevole disponibilità d'acqua che, nei secoli passati, ha reso gli opifici da carta dell'entroterra di Voltri famosi in tutto il mondo.
Fungo e funghetto nel bosco dietro casa (foto personale) |
Ai tempi dei romani non era un problema, ma l'ulteriore vantaggio dei giorni nostri rispetto alla pianura è l'assenza di agricoltura intensiva, con annessi pesticidi letali, che sono una delle principali cause di morte delle api.
E' così che, fra 2013 e 2014, a Mele spunta un nuovo apiario. Prima di acquistare le prime due arnie, sia io sia Marco ci siamo diplomati apicoltori seguendo il bellissimo corso organizzato da ALPA Miele. Con alcune lezioni sia teoriche sia pratiche si imparano i rudimenti del magico mondo delle api ed è frequentabile anche da chi non necessariamente vuole diventare apicoltore.
Controllo primaverile dei telaini in cerca di celle reali per evitare la sciamatura (video personale)
I nostri mieli: acacia, erica, castagno... melata di metcalfa ed edera
Fra i mieli che sgorgano dai nostri boschi, il più conosciuto ed apprezzato è sicuramente quello di acacia: gusto dolce e delicato, colore limpido e paglierino. E' complicato da raccogliere perché fiorisce in piena primavera quando è più facile avere un'alta variabilità del tempo: condiziona la produzione nettarifera (con basse temperature ed insolazione cala drasticamente) ed influisce sull'attività delle api, più attive con sole e temperature più alte.
Miele d'acacia appena invasettato, dopo aver riposato un mese circa in botte (foto personale) |
Il primo miele dell'anno però è il miele di erica, poco conosciuto perché sono pochi i posti dove si riesce a raccogliere (Liguria, Toscana, Sardegna). Tuttavia le sue qualità originali non sono da meno dell'acacia. Ha un aroma più marcato ed un colore tendente al rubino. L'erica fiorisce fra fine inverno ed inizio primavera. Dato il periodo, è ben difficile da raccogliere: a fine inverno gli sciami sono deboli ed il meteo è estremamente variabile.
Il miele di castagno è quello che, per quantità, dà sempre soddisfazione. Fiorisce fra giugno e luglio. Il carattere forte ed il retrogusto amarognolo, oltre che il colore scuro, ne fanno un miele molto amato o molto odiato. Io rientro nella prima categoria e lo spalmo su ogni caso, formaggi inclusi.
I tre mieli appena citati costituiscono la produzione del nostro apiario. I nostri boschi però offrono almeno altre due varietà.
Castagne dei nostri boschi, prodotto che ha sfamato generazioni di nostri avi (foto personale) |
La prima è la melata di metcalfa. Curiosamente è un miele non ricavato da fiori, bensì dagli scarti di questo insetto, simile ad una farfalla, introdotto accidentalmente in Italia negli anni '70. Si nutre di linfa vegetale, scartando la parte zuccherina che rilascia sulle piante sotto forma di filamenti bianchi, fra luglio e settembre. Poiché è un periodo di grande fame per le api ed avaro di fioriture, non ci siamo mai cimentati nella raccolta.
La seconda varietà è il miele d'edera. Anche questo è un prodotto molto di nicchia e molto difficile da trovare. L'edera fiorisce ad inizio autunno. Sebbene con l'abbandono delle campagne la sua diffusione sia deflagrata, la sua raccolta è estremamente complicata. Poiché cristallizza già all'interno del favo, la sua estrazione è molto impegnativa e richiede tanto lavoro in cambio di risultati spesso modesti. Tuttavia il colore bianco, il dolce aroma di bosco e la consistenza granulosa ne fanno un prodotto unico. Un paio di anni fa, a costo di tanti epiteti in memoria del bisnonno e molti avi prima di lui, il buon Marco ne ha estratto una manciata di chili. Quest'anno ritentiamo l'avventura 🤘🏼
Marianna all'opera con la centrifuga per estrarre il miele dai melari (video personale)
Chiusa la parentesi sui mieli locali, ne apro una breve sul consumo nazionale. Dal 2016 il miele estero consumato in Italia supera quello prodotto sul suolo nazionale. Premesso che anche in altri paesi vengono prodotti mieli di alta qualità ed estremamente particolari (come il miele elfico, diventato famoso per i suoi costi a tre zeri), a destare preoccupazione è proprio la bassa qualità delle importazioni, talvolta spacciate per Made in Italy.
Coldiretti ha lanciato un grido di allarme, in particolare per le importazioni da Est Europa e Cina. Il Celeste Impero copre il 20% delle importazioni di miele in Italia e fa specie che, a fronte di un crollo mondiale della produzione, in Cina negli ultimi anni sia decuplicato nonostante non sia un paese propriamente noto per gli standard ambientali.
I prezzi alti non sono una garanzia automatica, ma quando al supermercato vediamo prezzi molto bassi è inverosimile che dietro ci sia una produzione di qualità.
Infine ricordo che oltre al miele si possono produrre anche propoli, cera, polline, pappa reale, ma questi sono altri capitoli...
Etichetta d'Amé de Mé, il miele di Mele (foto personale) |
Un equilibrio perfetto e delicato
Erica, acacia, castagno, melata, edera... come fanno le api a produrre tipi di miele diverso e come si fa a capire? Ogni territorio è caratterizzato da fioriture consistenti in specifici periodi dell'anno e prevalgono nettamente sulle altre. Le api si concentrano su queste per la loro abbondanza e per ottimizzare il loro lavoro. Tuttavia possono esserci sovrapposizioni fra fioriture varie, con un tipo di miele prevalente e altro che ne modifica le qualità in maniera più o meno percettibile.
Questa è una delle tante peculiarità che caratterizzano il mondo delle api, come la loro straordinaria organizzazione, il modo in cui si dividono i compiti, il loro incredibile orientamento e la danza che compiono per comunicare direzione, distanza e pure quantità di cibo.
E' un equilibrio perfetto e delicato, esposto principalmente a tre grandi minacce.
Marco al lavoro mentre controlla i telaini (foto personale) |
Il primo è l'ampio utilizzo di pesticidi in agricoltura o anche di sostanze per parchi e giardini che crediamo innocue, ma in realtà letali per le api. Spesso le api non muoiono subito, ma portano queste sostanze nell'alveare entrando così nella loro catena alimentare e provocando l'agonia della colonia. Nella nostra catena alimentare, ahimé, sono già presenti in maniera consistente.
Il secondo è la varroa, un acaro, ospite naturale dell'apis cerana (cinese) che riesce a tenerlo sotto controllo, diventato ormai endemico anche dell'apis mellifera (europea). Non esistono praticamente più apis mellifera ligustica (sottospecie italiana utilizzata in tutto il mondo) allo stato brado a causa della varroa. La prevenzione della varroa è il motivo fondamentale per cui è necessario frequentare corsi dedicati di apicoltura prima di avviare questa attività, anche per mero hobby. Uno sciame altamente contaminato è una grave minaccia per tutti gli sciami circostanti.
Al centro in alto un'ape regina, "marchiata" di giallo per essere più facilmente riconoscibile durante tutte le operazioni ad arnia aperta (foto personale) |
Il terzo è il riscaldamento climatico e gli eventi estremi che rendono meno accessibili le risorse. Nelle nostre zone in particolare gli inverni più caldi fanno "saltare il letargo". Quando inizia (iniziava?) la stagione fredda, le api formano il glomere, una formazione “a palla” che le api operaie assumono per mantenere una temperatura costante nell'alveare. In questo periodo le api riducono al minimo la loro attività, inclusa la deposizione di uova da parte della regina, moderando il consumo delle scorte di miele messe da parte nei mesi precedenti. L'inverno caldo invece stimola le api ad uscire in cerca di nuovo cibo, che non c'è. Così consumano velocemente le scorte e gli sciami arrivano a primavera morendo di fame o saccheggiandosi a vicenda, quando invece dovrebbero iniziare le prime grandi raccolte.
Marco alle prese con un paio di apicoltori apprendisti... l'educazione delle nuove generazioni è importante! (foto personale) |
Una minaccia recente è rappresentata dalla vespa velutina, una vespa importata accidentalmente dal sud est asiatico, grande predatrice di api. Ha iniziato a diffondersi partendo dalla Francia nel 2004 e, senza trovare particolari ostacoli, ha invaso rapidamente tutta l'area compresa fra Portogallo, Gran Bretagna e Germania. In Italia è per ora contenuta proprio alla nostra regione, la Liguria, ed in parte alla Toscana. Per ora l'unico metodo di contrasto è il tracciamento e la distruzione dei nidi, motivo per cui è molto importante segnalare il ritrovamento di un esemplare.
Gioie e dolori
Sarebbe bellissimo che ognuno di noi avesse almeno un'arnia sul terrazzo. Non è una cosa impossibile: alle api non interessa molto di ciò che succede oltre i 2-3m dal proprio alveare.
Battute a parte, chi fosse interessato a fare l'apicoltore, deve essere cosciente di non aver a che fare con una vaschetta di pesci rossi. E' un'attività che, anche a livello hobbistico, richiede preparazione per capire i meccanismi variabili che regolano la vita delle api. Non sono banali e vanno studiati: per questo in ogni regione sono presenti associazioni apistiche accreditate dalle regioni, facilmente trovabili sul web.
Sciamatura primaverile: decine di migliaia di api abbandonano il nido, in cerca di dove posarsi per costruire un nuovo favo. Marco ci tiene a ricordare che lo sciame non era nostro e per le sciamature vanta ancora il "clean sheet" (foto personale)
E' sempre meglio iniziare con due famiglie, per avere la sicurezza di covata fresca per fare una nuova regina in caso di necessità. Di per sé l'impegno non è gravoso, ma va gestito seguendo i ritmi delle api: controllo della sciamatura, trattamento della varroa, nutrizione, raccolta, ecc. E' inevitabile compiere degli errori, ma ci sono a disposizione (gratis) i tecnici delle associazioni apistiche e gli apicoltori più esperti.
Le api sciamate si sono posate sul tronco di un olivo, riunendosi a forma di sassofono (foto personale) |
E' un modo per capire più da vicino quanto sia straordinaria la Natura, ricordandosi che non è esente da rischi. Essere preparati serve a conoscere i momenti migliori in cui mettere le mani dentro l'alveare. La tuta da apicoltore protegge, ma qualche puntura di tanto in tanto può capitare. Così come può capitare che anche le api, nel loro piccolo, si incazzino, ma anche questa è un'altra storia...
...e se le api s'incazzano, non c'è pertugio in cui non riescano a penetrare (foto personale) |